Dove la sicurezza diventa custodia. Il viaggio cooperativo nelle Guardie ai Fuochi del Porto di Venezia

Il "mio viaggio nella cooperazione" continua a Venezia, là dove l’acqua non è solo bellezza ma responsabilità quotidiana. Tra moli operativi, silenzi carichi di attenzione e sguardi che sanno leggere i rischi prima che diventino emergenza, incontriamo la cooperativa Guardie ai Fuochi del Porto di Venezia
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Venezia è una città che tutti credono di conoscere, ma che pochi comprendono davvero. È fragile, esposta, attraversata ogni giorno da forze opposte che convivono in un equilibrio delicatissimo: acqua e fuoco, bellezza e rischio, lentezza e pressione continua, storia millenaria e modernità che incalza. In questo spazio sospeso, dove ogni gesto ha un peso e ogni errore può diventare irreversibile, esiste una cooperativa che da decenni lavora senza clamore per garantire che tutto continui a reggere.

Le Guardie ai Fuochi del Porto di Venezia non sono un simbolo da raccontare con enfasi né una narrazione da cartolina. Sono una presenza concreta, quotidiana, essenziale. Qui la sicurezza non è un concetto astratto o una formula burocratica: è una pratica costante, fatta di attenzione, di vigilanza silenziosa, di preparazione continua. È la consapevolezza che in un luogo come questo non esistono errori piccoli, perché ogni errore può propagarsi, diventare danno ambientale, rischio per le persone, ferita permanente per un territorio già fragile. Questa cooperativa nasce da una necessità precisa, ma nel tempo quella necessità si è trasformata in qualcosa di più profondo: una cultura del lavoro, un modo di abitare professionalmente Venezia, una responsabilità collettiva che si rinnova ogni giorno. Non c’è eroismo, non c’è spettacolarizzazione, non c’è ricerca di visibilità. C’è la dignità di un lavoro fatto bene, sempre, anche quando nessuno guarda.

Il lavoro invisibile che rende possibile l’equilibrio
Nel lavoro delle Guardie ai Fuochi convivono competenze tecniche altissime e una profonda intelligenza umana. Qui la tecnologia è presente, avanzata, indispensabile, ma non è mai protagonista. È uno strumento al servizio dell’esperienza, non un alibi per sostituirla. Perché il mare, la laguna, il porto non si governano solo con manuali e procedure, ma con lo sguardo allenato di chi sa leggere i segnali prima che diventino emergenza, di chi riconosce un’anomalia quando è ancora possibilità.

Ogni intervento, ogni controllo, ogni servizio racconta una scelta precisa: prendersi cura prima, prevenire invece di rincorrere, proteggere invece di riparare. Qui il lavoro non è mai solo esecuzione, ma interpretazione responsabile di un contesto complesso. È un lavoro che non cerca l’eccezionalità, ma la continuità. Che non misura il successo nel rumore che produce, ma nel silenzio che segue una giornata in cui tutto ha funzionato. È una forma di professionalità che si nutre di attenzione costante e che trova nella cooperazione la sua condizione naturale.

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